di Alessia Guerrieri

in “Avvenire” del 23 maggio 2020

Antigone: meno detenuti in cella da fine febbraio, ma il sovraffollamento rimane un’emergenza. Dal Garante al Dap al ministero della Giustizia, l’obiettivo comune di arrivare a interventi strutturali.

Sembra quasi un paradosso. Nonostante l’alleggerimento della pressione sulle carceri durante i primi due mesi e mezzo di emergenza coronavirus – i detenuti sono calati di 8.551 (14%) – uno dei principali problemi del sistema carcerario italiano resta ancora il sovraffollamento che, ad oggi, registra un tasso del 112%, 18 punti in meno rispetto alla fine di febbraio. E così dietro le sbarre del nostro Paese restano 52.679 persone (la capienza è di poco più di 50mila posti però), con la presenza femminile al minimo storico: 2.224. Per questo la pandemia deve essere vista come un’opportunità per studiare misure che riducano il numero dei detenuti in cella. Questo il messaggio dell’associazione Antigone che ieri, in videoconferenza, ha presentato il XVI rapporto sulle condizioni carcerarie, il primo incentrato in particolare sui mesi del Covid-19.

Lo scoppio della pandemia, infatti, «ha messo a nudo tutte le problematiche del nostro sistema penitenziario che da anni andiamo denunciando, in primis quello del sovraffollamento». Il presidente di Antigone, Patrizio Gonnella, sottolinea pure che tutte quelle misure necessarie da anni per alleggerire la popolazione carceraria (meno custodia carceraria o più misure alternative) vista la necessità di fare spazio per prevenire i contagi, ha costretto «a mettere in moto una macchina che in poche settimane è riuscita a fare quello che fino a pochi giorni prima dello scoppio della pandemia sembrava impossibile solo a dirsi». Nonostante i numeri facciano ben sperare (anche i suicidi sono stati finora 17, mentre nel 2019 furono 53), sul fronte sovraffollamento la situazione non è ovunque rosea. Ci sono ancora situazioni critiche, come a Latina, dove si registra un sovraffollamento pari al 179,2% o a Taranto, col 187,6%, oppure a Larino, col 194,7%. E questo fa tremare per il pericolo contagi.

Finora in realtà sono risultati positivi 119 i detenuti e 162 gli operatori penitenziari, ma si contano anche 8 vittime, quattro detenuti, due medici e due agenti di polizia penitenziaria. Anche la diffusione del virus è stata tutt’altro che omogenea: in alcuni istituti non si conta neanche un caso mentre in altri, come quello di Torino, addirittura 67. «Numeri altissimi se paragonati al resto del Paese», spiega Antigone. Non poche polemiche ha causato poi il tema delle scarcerazioni in seguito al “Cura Italia”, soprattutto per i mafiosi. I reclusi in alta sicurezza che sono stati scarcerati sono 494, di questi 253 erano in attesa di giudizio, mentre «degli altri 245 solo 6 sono stati scarcerati grazie alle misure previste dal decreto per decisione del magistrato di sorveglianza». Per quanto riguarda invece i detenuti al 41–bis, 747 in tutto, solo a quattro di loro sono stati concessi i domiciliari per motivi di salute.

Certo è che non va abbassata la guardia sul mondo del carcere. A ricordarlo Mauro Palma, Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale, per cui è tempo di «tenere la situazione sotto controllo», ma per farlo occorre «ricostruire delle culture condivise » e «nuovo linguaggio attorno al carcere» per far sentire quanti operano in questo campo «un patrimonio». Le pagine del dossier tuttavia mettono in evidenza anche la buona riuscita dell’uso della tecnologia all’interno dei penitenziari, un esperimento che, per voce dello stesso sottosegretario alla Giustizia, Andrea Giorgis, deve essere implementato attraverso «soluzioni strutturali» accelerando contestualmente il ritorno alla scuola e ai servizi educativi «la cui dimensione fisica è insostituibile». Per il sovraffollamento poi, aggiunge, «bisognerà mettere in conto anche l’adozione di nuove soluzioni legislative».

Proposte che però vanno elaborate insieme. Per questo il nuovo capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Bernardo Petralia, sottolinea l’importanza di una «sinergia lavorativa» non solo con il Garante per le persone detenute, ma anche con il mondo delle associazioni. Come per altro è già avvenuto in questi ultimi mesi che il direttore generale per l’Esecuzione penale esterna Lucia Castellano definisce «lezione per il futuro». C’è infatti, aggiunge, «un numero consistente di persone che potrebbero essere in misura alternativa e sono in carcere e su queste noi ci siamo concentrati perché avevamo l’urgenza di accelerare la fuoriuscita delle persone». E sono bastate le norme vigenti per farlo.